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Come ogni professione anche noi ostetriche ci battiamo per
migliorare la nostra professione, le nostre condizioni lavorative e per far
valere i nostri “diritti”.
Bene.
Fino ad ora la battaglia per la quale abbiamo visto maggior
dispiegamento di forze da parte delle ostetriche, a partire dagli Organi
Dirigenti, è quella contro le Doule.
Cerchiamo dunque di capire chi è la Doula e cosa fa.
La Doula è una donna con una certa esperienza che
accompagna, ascolta e aiuta in maniera molto pratica e nella quotidianità una
madre dalla gravidanza fino ai primi mesi di vita col neonato.
La Doula è una donna che ha acquisito delle esperienze di
vita che l’hanno portata a desiderare di dare sostegno alle altre donne. Non ha
una formazione particolare (alcune nozioni femminili di fondo) ma basa il suo
sapere sull’ascolto.
Il suo percorso include l'acquisizione di competenze che abbracciano la capacità di accettazione, di ascolto e di accoglienza di una
donna in maniera più costruttiva rispetto al fatto di fornire un mero consiglio
alla vista di una madre in apparente difficoltà, anche se costei non ne fa
diretta richiesta.
La Doula non fa ciò che compete professionalmente
all’Ostetrica, ma il suo percorso esperienziale le permette di comprendere ciò che
riguarda il lavoro dell’ostetrica stessa,
per poterla aiutare concretamente durante l’assistenza e
l’accompagnamento di una donna prima e dopo il parto.
Questo suo percorso le permette di condividere un “linguaggio” con
l’ostetrica al fine di unire forze, energie ed empatia per accompagnare quella
madre attraverso il suo percorso verso la maternità.
La formazione che compie la Doula non è paragonabile a
quella che compie l’Ostetrica, nessuno lo discute. È proporzionata a quello che
è il suo ruolo nell’accompagnamento di una madre e alle sue precipue
responsabilità e non pretende di sostituirsi all’Ostetrica! Si tratta infatti
di una formazione il cui fine ultimo accomuna Ostetriche e Doule: il bene delle
madri, delle coppie mamma/bambino e delle nuove famiglie!
Orbene, facciamo una piccola digressione e torniamo
all’introduzione, quando abbiamo parlato delle nostre battaglie per migliorare
le condizioni lavorative e far valere i nostri diritti.
Qui di seguito il profilo professionale dell’Ostetrica
individuato col D.M n.740 del 14/09/1994 che all’articolo 1 individua la figura
dell’Ostetrica, ovvero chi è, quale sia la sua formazione e quali i suoi ambiti
di competenza:
·
Art. 1
1. E' individuata la figura dell'ostetrica/o con il seguente profilo:
l'ostetrica/o è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario
abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, assiste e consiglia la
donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e
porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza
al neonato.
2. L'ostetrica/o, per quanto di sua competenza, partecipa:
a) ad interventi di educazione sanitaria e sessuale sia nell'ambito
della famiglia che nella comunità;
b) alla preparazione psicoprofilattica al parto;
c) alla preparazione e all'assistenza ad interventi ginecologici;
d) alla prevenzione e all'accertamento dei tumori della sfera genitale
femminile;
e) ai programmi di assistenza materna e neonatale.
3. L'ostetrica/o, nel rispetto dell'etica professionale, gestisce, come
membro dell'equipe sanitaria, l'intervento assistenziale di propria competenza.
4. L'ostetrica/o contribuisce alla formazione del personale di supporto
e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo
professionale e alla ricerca.
5. L'ostetrica/o è in grado di individuare situazioni potenzialmente
patologiche che richiedono intervento medico e di praticare, ove occorra, le
relative misure di particolare emergenza.
6. L'ostetrica/o svolge la sua attività in strutture sanitarie,
pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.
Vogliamo offrirvi alcuni spunti, che speriamo saranno motivo
di riflessione.
Cominciamo dal punto 1.
“Assiste e consiglia la donna nel periodo della
gravidanza”…
Correggeteci se sbagliamo, ma almeno qui in Italia, potremmo
dire che solamente una piccola parte delle donne in gravidanza viene assistita
dall’ostetrica piuttosto che dal ginecologo (che, lo ricordiamo, in quanto
medico è preposto ad intervenire qualora non ci trovassimo più in una
situazione di fisiologia). Viene da chiedersi quali siano state le criticità
che hanno portato a questa evoluzione: di cosa avevano bisogno le donne che
l’ostetricia non ha saputo fornire? Forse che –diciamocelo apertis verbis- le donne hanno tentato di mandare un messaggio che
non è stato ascoltato dalle ostetriche? Quante donne riponevano fiducia nelle
ostetriche condotte e quanto la scelta obbligatoria di prosecuzione del
servizio di assistenza al parto in clinica come dipendenti ASL o solo come
libere professioniste, ha fatto sì che le ostetriche interrompessero la loro
vita sul territorio a fianco alle donne per andare a lavorare come dipendenti,
chiudendosi dietro al muro dell’ospedale?
“(Assiste e consiglia la donna) nel puerperio”…
Immaginiamo che la percentuale delle puerpere assistite da
un’ostetrica nel puerperio sia sovrapponibile a quella delle donne assistite
dall’ostetrica durante la gravidanza, poiché saranno le stesse che, avendo
compiuto il percorso precedente la nascita insieme ad essa, continueranno a
fare riferimento a lei anche dopo la nascita.
Quante donne si rivolgono all’ostetrica anche solo per un
consiglio nel dopo parto, una volta dimesse dall’ospedale?
Quante donne si rivolgono all’ostetrica per compiere una
visita di controllo terminato il periodo del cosiddetto “puerperio”?
Quante, invece, al ginecologo?
“…presta assistenza al neonato”.
Escludendo i parti domiciliari, i parti nei Centri Nascita o
nelle Case Maternità (comunque una percentuale ancora piuttosto bassa oggi in
Italia), chi si occupa dell’immediata assistenza al neonato in sala parto?
Molte donne possono testimoniare quanto si riempia una sala
parto al momento della nascita del bambino, tra le numerose figure presenti non
mancano infermiere pediatriche e pediatri…
Andiamo al punto 2.
“Partecipa ad interventi di educazione sanitaria e
sessuale sia nell'ambito della famiglia che nella comunità”…
Quante delle figure che conducono incontri nelle scuole,
dalla scuola media alla scuola superiore, in materia di educazione sanitaria e
sessuale, sono ostetriche?
“Partecipa alla preparazione e all'assistenza ad interventi ginecologici”…
Perlomeno quando si parla di assistenza e strumentazione di
interventi ginecologici programmati, non in regime di urgenza o in orario e
giorno feriale, chi assiste il medico ginecologo?
L’ostetrica?
O l’infermiere di sala?
“Partecipa alla prevenzione e all'accertamento dei tumori della sfera
genitale femminile”…
Vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per il punto 1.
Quante donne chiedono la consulenza dell’ostetrica per test
di screening quali il Pap-test o la palpazione della mammella per la
prevenzione o l’accertamento dei tumori del collo dell’utero o della mammella?
“Partecipa ai programmi di assistenza materna e neonatale”…
Nei giorni della degenza dopo la nascita del bambino, chi si
occupa solitamente dell’assistenza alla neomadre per l’allattamento, la
medicazione del moncone ombelicale, i test di screening neonatali, la pulizia e
il cambio del bebè?
E poi: quante ostetriche che lavorano in reparto hanno la competenza
della cura dei neonati e quindi, direttamente, la completa responsabilità della
gestione dell’avvio all’allattamento in modo tale da far uscire dall’ospedale
una donna e un neonato sereni?
Punto 3.
“L'ostetrica/o, nel rispetto dell'etica professionale, gestisce,
come membro dell'equipe sanitaria, l'intervento assistenziale di propria
competenza”…
Quest’ultimo punto, alla luce
considerazioni compiute fino ad ora, ha l’aspetto di un concetto che non
corrisponde alla realtà delle cose.
Andiamo direttamente al punto 5.
“L'ostetrica/o è in grado
di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento
medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare
emergenza.”
Se così stanno le cose, se un
DECRETO MINISTERIALE sancisce che per
formazione e competenze, non solo siamo in grado e siamo preposte
all’assistenza nella fisiologia, ma
siamo anche in grado di praticare le misure di emergenza ed eventualmente
richiedere l’intervento di un medico qualora la situazione da fisiologica
divenisse patologica…perché continuiamo ad essere limitate nella nostra
effettiva competenza e nella nostra autonomia professionale pratica?
Terminate queste riflessioni,
vorremmo provare a stimolare in chi legge delle conclusioni…
1-
I nostri ambiti professionali vengono rispettati nella pratica
quotidiana?
2-
Ci sentiamo rispettate nella nostra autonomia decisionale e gestionale?
3-
La nostra pratica professionale quotidiana rispecchia ciò che
è stato sancito dal Decreto Ministeriale numero 740 del 14 settembre 1994?
E per finire una questione di fondo
che dovremmo cominciare a elaborare.
Sempre alla luce delle riflessioni
di cui sopra, è poi vero che esiste un capro espiatorio fuori di noi, un
colpevole della nostra situazione professionale lavorativa che ci ha
figurativamente azzannato alla gola travestendosi prima da pecora e poi da
lupo? C’è qualcuno fuori dal nostro ambito che potremmo immolare come un
sacrificio umano e che, se venisse istantaneamente eliminato, tutto sarebbe più
chiaro e le ostetriche sarebbero professioniste affermate e riconosciute?
Possiamo forse dire che senza le
Doule tutto sarebbe rose e fiori?
Crediamo che dobbiamo seriamente
rivedere l’oggetto delle nostre battaglie…
Facciamo un inciso. La figura della
doula è molto criticata e le ostetriche che si azzardano a difenderla o a
informarla vengono tenute d’occhio di modo tale che possano essere colpite da
esposti o sospensioni. La politica del terrore, la storia ce lo dice, ha
mietuto grandi vittime da parte di chi deteneva il potere, poiché il sentimento
umano e la libertà di azione sono quegli aspetti che storicamente e
filosoficamente hanno creato poi movimenti sociali che hanno capovolto gli
assetti politici. Questi moti rivoluzionari sono stati forti e il loro precipuo
carattere era quello di essere bandiera di sentimenti umani come il bisogno di
pace. Perché, noi ci chiediamo, le doule non possono essere
informate
da coloro le quali possono dire loro in quali aspetti una doula può essere
d’aiuto all’ostetrica (ospedale o domicilio non importa) e invece ci sono
figure come le Mamy-sitter (
http://mamysitter.it/)
che invece paiono proprio essere
formate
da ostetriche?
Proseguiamo la digressione
attraverso quelli che sono i punti critici della professione ostetrica.
Anzitutto la FORMAZIONE
UNIVERSITARIA.
Quante ostetriche possono realmente
ritenersi soddisfatte del percorso formativo triennale che ci porta a diventare
ostetriche?
Quante si sentono realmente
autonome e sicure di sé tanto da intraprendere serenamente la libera
professione appena laureate e senza integrare con percorsi formativi aggiuntivi
post-laurea?
Quanto delle materie oggetto di
lezione universitaria servono realmente nella pratica quotidiana da ostetrica?
Quante, invece, paiono più dei progetti formativi che debbono avere un
determinato assetto accademico che talvolta lascia dei seri dubbi circa
l’effettiva necessità di far parte di un percorso di studi?
Parliamo del tirocinio pratico.
Le ore di tirocinio pratico sono
proporzionate in modo da preparare realmente
l’ostetrica all’autonomia professionale?
Le studentesse ostetriche si
ritengono soddisfatte della pratica effettuata nei tre anni? Essa ricopre in
maniera esaustiva ogni ambito professionale al quale l’ostetrica è preposta?
Passiamo alla formazione
post-laurea.
I corsi post-laurea ci sono, alcuni
sono molto belli e completi, molto pratici e aggiornati, arricchenti e
professionalizzanti.
Vogliamo, però, parlare della spesa
che un’ostetrica deve intraprendere per frequentarli (intendendo costo del
corso +costo del viaggio+costo del vitto e alloggio)?
Quante giovani ostetriche
neolaureate possono accedervi?
Quante ostetriche già “lavoranti”
(parlo delle libere professioniste, poiché alle dipendenti solitamente provvede
l’azienda sanitaria con corsi gratuiti) subissate da tasse e contributi e
magari figli da mantenere possono accedervi?
E i crediti formativi (cosiddetti
ECM)? I costi si alzano poiché una cospicua parte del costo del corso va al provider che assegna dei crediti. Viene
da pensare, ma aspettiamo che qualcuno confermi o neghi ufficialmente, che
dietro la non preparazione universitaria ci sia una sorta di meccanismo
economico per il quale poi l’ostetrica deve continuare a spendere, spendere, spendere…
Certo, è nostro preciso dovere
aggiornarci costantemente, ma dovrebbe anche essere un diritto, allora, quello
di partire con una solida base formativa e non solamente un dovere perché è
necessario accaparrarsi dei crediti!
Bene, una volta chiarito questo
punto, parliamo della libera professione.
La libera professione potrebbe
rappresentare uno sbocco “alternativo” per tutte quelle neolaureate che se la
sentano ( e già qui, apriamo il capitolo ‘consapevolezza di sé e della propria
professionalità’ che non è in argomento, ma che è strettamente collegato con la
formazione universitaria). L’ostetrica possiede autonomia professionale e
decisionale. Ha responsabilità medico legali enormi e ambiti della professione
che non conosce neppure lontanamente.
La sua professione le consentirebbe
di “spaziare” e proporre assistenza e
corsi che abbracciano tutti gli ambiti professionali dell’ostetricia.
Maggior lavoro sui rapporti umani,
possibilità di conoscere a fondo le donne e accompagnarle nel tempo.
Grande soddisfazione personale ed
umana.
Orari flessibili e cuciti sulle
proprie esigenze.
Maggior compatibilità con la
famiglia.
Detta così non sembra affatto male,
vero?
A parte il fatto che mediamente
l’ostetrica neolaureata non se la sente di intraprendere la libera professione
poiché la formazione universitaria non la prepara adeguatamente e non si sente
sufficientemente sicura, la libera professione è anche:
Il versamento di tasse e contributi
che arrivano a superare il 50% di ciò che si incassa.
L’obbligo di iscriversi ad una
cassa provvidenziale che prevede un versamento annuo di circa 3200 euro a
prescindere che una persona ne abbia incassati 1000 o 10000.
L’impossibilità di lavorare in
“Prestazione occasionale” per lo meno all’inizio quando si tratta di avviare
l’attività.
L’obbligo di sottoscrivere
assicurazioni per la responsabilità civile a cifre spesso sproporzionate a
quella che sarà poi la pratica professionale.
L’obbligo di maturare un certo
numero (piuttosto alto) di crediti formativi annui (una persona che sta
avviando la professione difficilmente può permetterseli, un’altra che già
lavora e magari ha famiglia, nemmeno), a costi poco accessibili (il costo, lo
ricordiamo, aumenta a causa dei crediti formativi stessi).
Terminate queste riflessioni,
torniamo a rivolgere la domanda che un po’ ha dominato questa digressione..
Sono realmente le Doule il
nostro problema?
Vale la pena spendere tutte queste
energie e questa rabbia nei confronti di queste donne con le quali condividiamo
(o perlomeno dovremmo condividere) l’obiettivo primo della nostra professione?
Far stare bene le donne, le mamme, i bambini, le famiglie, le coppie?
Se invece dirigessimo altrimenti
tutta la forza e l’impegno, verso altre “battaglie”? Quelle che realmente
porterebbero a un miglioramento della nostra professione, delle nostre
condizioni lavorative e quindi al miglioramento dei servizi che offriamo?
Non credete che ci guadagneremmo
sotto molti aspetti?
Se invece le Doule diventassero
delle preziose alleate?
Vi lasciamo con altri tre piccoli
spunti di riflessione:
1-Se le ostetriche entrassero a far
parte delle formatrici ai corsi per diventare doule, non credete che ci sarebbe
maggior controllo su quelli che sono i loro percorsi formativi, su ciò per cui
vengono formate, su quale livello di approfondimento di materie ostetriche
viene loro offerto?
Si lavorerebbe davvero insieme,
anziché contro, e le donne sarebbero davvero le reali utilizzatrici di servizi
professionali positivi per tutti coloro che entrerebbero in questo rapporto.
2-Se le Doule venissero
riconosciute come figure che stanno accanto alla madre, non credete che
verrebbero sottoposte a maggior controllo? Non sarebbe più semplice e
immediato, nonché più chiaro, individuare coloro le quali “sforano” oltre le
loro competenze?
3-Come credete che venga vista
dalle donne, dalle madri, questa battaglia nei confronti di persone che stanno
loro vicine, che le ascoltano, che le accompagnano quando non sanno più a chi
rivolgersi, che preparano loro un pasto caldo per la famiglia mentre loro
allattano il piccolino? Chi ci guadagna agli occhi delle madri in questa
battaglia?
Se davvero si desidera il bene
della donna e la sua reale Salute (fisica, mentale ed emotiva) tale da andare a
far parte attivamente di quelle donne che sono parte attiva della società
civile, allora dobbiamo raccoglierci, riflettere e sotterrare qualunque arma:
vinceranno l’affetto, la forza, il sostegno reciproco e il rispetto. Purtroppo
adesso stiamo solo dimostrando un concetto a noi chiaro da tempo: le donne
insieme non portano avanti nessun progetto, sono incapaci di empatia reciproca
e perdono tempo a definire quale parte del territorio è loro. Un po’ come le
galline. Ma l’unica cosa buona che una gallina fa è l’uovo.
Emanuela e Rachele