martedì 8 luglio 2014

Noi, i figli del "basso contatto"...

"Non ti tenevo mai in braccio, altrimenti poi prendevi il vizio e volevi stare sempre in braccio"

"La sera piangevi anche due ore nella carrozzina e noi riuscivamo a cenare"

"Ti allattavo ogni 4 ore, altrimenti prendevi il seno come un ciuccio"

Purtroppo non sono le citazioni di un libro degli anni '80 sull'accudimento dei bambini , ma tristi e sconcertanti verità applicate con "orgoglio" nella quotidianità di una bimba come me, nata negli anno '80. 
E come me mille altre, ne sono certa.

Non mi sento di essere stata una bimba privata dalle attenzioni e dall'affetto dei genitori, questo no, anzi!
Mia madre ha fatto di noi figlie il fulcro della sua esistenza, ogni sua giornata ruotava attorno a noi, lei era per noi e noi eravamo per lei. Lei ci ha sempre dimostrato affetto e dedizione cieca, attraverso la quotidianità, i gesti, i sacrifici. 
Nella mia infanzia lei ha sempre rappresentato un punto fermo, una pietra miliare.
Ho sempre potuto contare sulla sua presenza, puntuale, rigorosa, incrollabile.
Lei si annullava per noi figlie e per la casa. Non credo si sia mai riservata del tempo per se, qualche coccola, del tempo per lo sport. Ricordo che cominciò a riservarsi del tempo da dedicare al suo sport preferito quando noi eravamo più grandi e più autonome. Ne sono certa poichè lo ricordo distintamente e non come un ricordo sfumato di bimba.

Ciò che invece non ricordo sono le carezze, gli abbracci, i baci.
Ne a noi, ne tra lei e mio padre (mia sorella, più intraprendente, prendeva l'iniziativa, mio padre ogni tanto provava qualche gesto affettuoso ma veniva "scacciato"). 
Ma nemmeno nella sua famiglia di origine. Molto unita, questo sì, ma molto poco affettuosa sul piano fisico.
Ricordo che mio padre o i suoi fratelli avevano un comportamento più affettuoso (si intenda ovviamente in senso positivo, mi raccomando), ma, almeno da parte mia, sempre eluso con fastidio. Ricordo di aver schivato baci e abbracci con senso di fastidio, sempre. Succede se non sei abituato.

E poi i racconti, probabilmente narrati in occasione della mia maternità.
In occasione di un "Non tenerlo troppo in braccio altrimenti vorrà starci sempre" o di un "Non tenerlo così a lungo al seno altrimenti ti usa come ciuccio e non lo stacchi più" o peggio di un "Lascialo piangere così capisce che non deve fare capricci".

Siamo nate con un parto programmato e con la flebo di ossitocina, la mamma a letto e poi sul lettino da parto attaccata ad una flebo.
Siamo state allattate secondo orari molto rigidi e per poco tempo. "Mi raccomando, signora, non prima che siano passate 3-4 ore, la lasci piangere, non le fa mica male!". Sono stata allattata un mese circa. 

Una volta diventata ostetrica e di nuovo mamma mi sono scontrata spesso con preconcetti di questo genere mentre allattavo a richiesta o tenevo il bimbo al seno anche ore di seguito.
Ma avevo per fortuna strumenti abbastanza solidi per controbattere evidenze scientifiche alla mano (comunque lavoro non semplice per una donna che ha appena partorito, intendiamoci, e del tutto evitabile se vogliamo).

Oggi sono una persona che fatica parecchio a donare e ricevere affetto, nel senso più fisico del termine ovviamente (un bacio, un abbraccio, una carezza...) e che elude il contatto fisico di qualsivoglia grado.
Quando incontro una persona non prendo mai l'iniziativa di salutarla baciandola sulle guance (se si parla di persone con le quali sono in confidenza), ma nemmeno porgendo la mano (se si parla di persone con le quali non sono in confidenza). Attendo sempre che siano gli altri a prendere l'iniziativa, talvolta risultando fredda o scortese. Devo sforzarmi per non essere così. E non sempre riesco.
Tra gli amici probabilmente risulto freddina o scostante. In famiglia riesco ad essere più ad alto contatto coi bimbi, ma mano a mano che crescono tale contatto va sciamando. Purtroppo anche con mio marito è così. Con grande sofferenza. Di entrambi.
Infatti mi rendo conto di essere così, desidero con tutta me stessa non essere così, sono affamata di affetto che vorrei dare e ricevere. Desidero gli abbracci e il calore delle persone a cui voglio bene e desidererei essere capace di donarli loro e di essere capace di farlo senza doverci pensare, d'istinto. Invece mi scopro a desiderare di ricevere o di dare un abbraccio e percepire come un burrone che mi separa dal prendere tale iniziativa, un burrone il cui ponte di collegamento tra le due sponde giace spaccato sul fondo. 
Mi percepisco sbagliata verso tale comportamento. Mi pare quasi di invadere lo spazio altrui, di dare fastidio. E quindi non ho la spontaneità di tali gesti affettuosi. Spesso immaginandomi nell'essere più affettiva mi vedo ridicola, come se fossi tornata bambina, una bambina che chiede e che invece sta dando fastidio.

Il mio secondo figlio, settenne, è un bimbo molto richiedente a livello di contatto, abbraccia, bacia, spesso spasmodicamente, talvolta risultando "esagerato", passatemi il termine.
Ho sempre un po' sofferto questo suo comportamento senza comprenderne il motivo.

L'essere ostetrica mi ha regalato gli strumenti per rendere consapevoli le altre mamme dell'importanza dell'alto contatto. Per farle sentire adeguate verso tale istintivo comportamento. Per aiutarle a seguire l'istinto a discapito dei pregiudizi culturali.

Ma mi ha regalato anche gli strumenti per percepire la necessità di un cambiamento profondo a livello personale.
Ho iniziato un percorso, che prevedo lungo, e che per adesso mi ha portata ad elaborare tutto ciò che sto scrivendo, ovvero a comprendere dove origini questa mia sofferenza, senza peraltro farne una colpa alla mia famiglia di origine poichè a sua volta "vittima" di un'educazione a bassissimo contatto. E che mi ha portato a comprendere mio figlio e a comprendere che il senso di sofferenza che provo nei confronti della sua spasmodica ricerca di contatto non è altro che il rispecchiarmi in lui, a rivedermi piccina alla disperata ricerca di contatto ma senza riuscire a chiederlo o vedendomelo negato, forse.
Il mio rapporto con lui è nettamente migliorato, adesso. Riesco a soddisfare il suo bisogno di contatto, che è anche il mio, senza provare più fastidio (e il senso di colpa che ne derivava).

Ma fatico ancora con gli altri, con gli adulti, in primis purtroppo con mio marito. Ma senza che sia qualcosa di specifico nei suoi confronti. Sono cresciuta senza aver mai visto i miei genitori scambiarsi un gesto d'affetto. Spero che il percorso che ho intrapreso mi aiuti a ricostruire il ponte che collega le due sponde del burrone e a darmi gli strumenti per sentirmi adeguata nel mio chiedere, ricevere e donare contatto, ovviamente a partire dalla mia famiglia.

Questa mia storia vuole essere un forte messaggio dedicato a tutte le mamme.
Non abbiate paura di vecchi e obsoleti retaggi culturali che vi invitano a non viziare i vostri figli, a lasciarli piangere, a non prenderli in braccio. Siamo mammiferi, abbiamo bisogno di coccole, carezze, contatto, contenimento. E' un bisogno primario. Impariamo a non sottovalutarlo, mai!!! E fidiamoci del nostro istinto, che difficilmente sbaglia.

Ultimo consiglio: se avete in casa un libro di Estivill o di Tracy Hoggs, fatemi un favore, usatelo per accendere il barbecue questa estate o per fermare un tavolo traballante. Oppure se andate in campeggio vi assicuro che funziona molto bene anche usato come carta igienica!

Un abbraccio (vero) a tutte!
Emanuela